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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

mercoledì 23 dicembre 2015

'l sol si muore e poi rinasce



Infine. Infine, all'indomani del solstizio, dopo tre mesi di lotte, tormenti, fatica, testardaggine, resistenza oltre il fatidico minuto, pare che anche quest'anno riuscirò a trovare il modo di tornarmene a Parigi.
Per certo ho potuto cambiare una sede di lavoro umiliante, scorretta, mal funzionante che uccideva lentamente nella sua trappola le idee, il sapere, il sorriso e l'equilibrio, con una diversa, dove spero di trovarmi bene e  recuperare un po' di salute a un corpo dolorosamente contratto da troppi mesi di tensione. Il sogno sarebbe una settimana alle piscine termali più calde del mondo, ma non ne ho i mezzi.

A chi si trovasse a vivere un ambiente di lavoro umiliante, vorrei dire di non rassegnarsi e cercare di cambiarlo con tutte le proprie forze. So che oggi non è facile, che il jobs act lo ha reso per molti impossibile. Lo ritengo una perversione aberrante del nostro tempo e del nostro mondo: una cornice mentale da respingere con tutte le nostre forze fisiche e morali.

Ai datori di lavoro farei semplicemente una gran risata sul muso. Perché sanno tutto ma preferiscono persone demotivate e strutture non funzionanti a persone autonome, capaci di pensare e felici,  persino, di fare quello che per contratto devono fare.

Io rido come una matta da ieri. Ancor più quando ricevo missive che si innalzano a cotante vette:
"Preso atto (...), si richiede la consegna delle chiavi e di ogni altro materiale di pertinenza (...) al fine di evitare addebiti relativi ad eventuali ammanchi. Il direttore".
Superfluo precisare che non ho mai avuto in consegna alcun materiale, men che meno allontanandolo dalla sede di lavoro. Che dite, sarà la volta buona che mi rimborseranno il costo delle chiavi?

D'altra parte, quando si è più felici di avere un "ex" che quando lo si vede schizzare di rabbia impotente, coprendosi di ridicolo? ;-).
Una risata vi seppellirà.


 

Quanto a me, vado a dormire. Ho un giusto arretrato :-).


sabato 12 dicembre 2015

... e di cuocerlo la sera

Stavolta il pane. 
Idea nata d'un balzo davanti agli sconfortanti scaffali del supermercato che, ormai ahimé come quelli dei fornai, propongono pane di cartongesso, polveroso e vuoto. Fatto in serie, badando a risparmiare sino all'ultimo granello di tempo, farina, energia di cottura, per realizzare margini di profitto sempre più alti. Per mangiare del pane decente devo aspettare di avere a disposizione le baguettes tradition nelle boulangeries parigine degli artisans boulangers. Un'arte con i suoi maestri, lassù. I maestri si vedono in questi mesi minacciati dalle nuove leggi che consentono l'apertura tutti i giorni e tutto il giorno dei supermercati e dei cosiddetti "punti di cottura" che si limitano a cuocere e smerciare impasti congelati anche diverso tempo prima. Legati alla grande distribuzione, questi punti vendita possono permettersi di tenere aperto tutti i giorni tutto il giorno, mentre le panetterie artigianali dovrebbero o aumentare a dismisura il loro carico di lavoro o assumere nuovo personale che non potrebbero permettersi di pagare il giusto per tenere aperto con gli stessi orari. Il rischio è la chiusura delle piccole attività artigianali (con relativa disoccupazione), il cui giro d'affari andrebbe una volta di più ad aumentare quello della grande distribuzione, che smercia però un prodotto tutt'altro che comparabile, proprio per le sue esigenze di standardizzazione e massimizzazione dei profitti in ogni passo della catena di produzione e distribuzione. Ma come? E la "Libertàààààààà"?????
Tra il forte e il debole la massima libertà danneggia il debole, diceva una volta qualcuno.  Qualcosa di simile avviene già in Italia, dove il pane non ha l'importanza che riveste in Francia, dato il nostro consumo di primi piatti a base di carboidrati, lassù molto meno rilevante.

A questo punto perché non farcelo da noi, visto che siamo ospiti in campagna in un we dalle notti fredde e dalla giornate ancora quasi di fine estate? Lo faccio io. Sia chiaro, non farò mai parte dell'esercito che si autoproduce tutto in casa, perché di ritornare a vivere per impastare e pulire come le nostre ave non se ne parla proprio. Anche coltivare la pasta madre presuppone fare della cucina il passatempo principale e benché sia nobilissima arte, al momento preferisco ancora passare dall'altro lato della mensa. Quanto al decrescitismo all'italiana che tale dedizione conforterebbe, così facile e alla moda tra certe damazze dalle pretese finto alternative quanto molto perbene nel loro consumare, rimango con il dubbio se mille forni casalinghi non siano in realtà più energivori di un unico forno collettivo che lavora per mille famiglie, senza parlare delle impastatrici. Quindi  è stato un esperimento, forse non un unicum, ma
soprattutto un gioco. Che deve cominciare dalle regole, la prima delle quali è: si impasta a mano. La seconda è: facciamo la figura del tipico italico marito che davanti agli scaffali del supermercato, giacché è troppo sforzo segnarsi la lista della spesa, si attacca al cellulare e chiama, seccato, lagnoso e passivo aggressivo quanto basta, la moglie. Cara, che pomodori devo prendere? Non li trovo. Ma scusa, i pomodori sono rossi? Sono di forma allungata? Sono in un barattolo o in bottiglia? Ma la salsa non si fa con il succo di pomodoro? qui c'è "solo" il succo di pomodorooo e via attivamente collaborando alla gestione del quotidiano (inferno per chi li sopporta. Lo confesso: sono rimasta traumatizzata a vita, temo, quando in un viaggio di lavoro una povera partecipante dovette ricevere in meno di un quarto d'ora cinque telefonate dal marito che non sapeva dove fossero i vestiti dei due figli, né quali fossero acconci a una giornata di maggio. Maria Montessori quanto ci sarebbe bisogno di te!).

La mia telefonata era diretta a lei, che molto pazientemente mi ha guidata prima nell'identificare quale farina di forza fosse la più adatta, poi con quale semola accompagnarla, e tutto il tempo del procedimento col rispondere a una serie di sms. "Se raddoppio i tempi di lievitazione posso dimezzare il lievito?" - sì, sono della setta a lievito zero ;-P e credo che la prossima volta lo diminuirò ancora perché è quello che rende il pane simile a polvere - "Posso strapazzare l'impasto?" "Devi!". Si sa che i lievitati richiedono la massima attenzione: "È un'emergenza?" mi ha chiesto quando in un momento culminante l'ho chiamata distrubandola sul serio... Impastare a mano è una goduria, quando non devi farlo per dieci persone tutte le settimane dell'anno. Sentire cambiare la consistenza sotto il palmo e capire quando la pasta ha preso tutta la sua autonomia, soda, compatta, elastica, è imprescindibile se si vuole padroneggiare la cucina.

Gli ospiti nel frattempo si facevano sempre più impazienti e curiosi: "Sicura che stia lievitando ancora?" "Sì" "Guarda che poi non cuoce" "Sì". "Adesso ti si sgonfia" "No". Vero è che il mio lievito zero ha fatto abbondantemente passare l'ora di cena e quella decente per andare a dormire.
Così l'abbiamo infornato di notte e siamo andati a letto in una nuvola di spesso profumo di pasta lievitata che cuoce ricacciando l'umido della campagna e riscalda la casa.
Si racconta che qualcuno, di coloro che fanno le viste di essere molto, molto discreti, ma devono tenere tutto sotto controllo, si sia alzato alle prime ore dell'alba per andare ad aprire lo sportello del forno e controllare lo stato delle pagnotte.

Io mi sono limitata a ritrarle la mattina successiva e le pubblico qui per mostrarle alla mia guida panificatrice:



Il curioso di cui sopra ha decretato che sono divine per accompagnare l'uovo à la coque o al padellino.

Il vicino di casa, nelle sue deliziose novantacinque primavere, non poteva non avere diritto a un assaggio e l'ha divorato come pan di zucchero, portandosene via per provvista una buona metà.

La mia mamma ha voluto gli avanzi di farina e la ricetta.

Io rimango dell'idea che sia impresa festiva e ludica, e per questo, si sa, non possono mancare le rose.




La ricetta è più o meno quella di Nora già sperimentata una volta da inconsapevole esecutrice.

venerdì 4 dicembre 2015

La notte di Natale

Vorrei passarla qui:
Prima a questa serata
Poi ballando fino al mattino, fino a essere zuppa da spogliarmi.
Indossare un impermeabile foderato di pelliccia e dei begli escarpins, dei guanti imbottiti e un grande berretto (sì, sono molto freddolosa).
Tornare a casa a piedi. Con ancora qualche stella. Respirando la polvere del ghiaccio.
Crollare su un grande letto. Nel caldo delle case nordiche.
E chi mi ama sia con me.
 

domenica 15 novembre 2015

Un vieux pays d'un vieux continent


"Il y a deux options :

L'option de la guerre peut apparaître a priori la plus rapide. Mais n'oublions pas qu'après avoir gagné la guerre, il faut construire la paix. Et ne nous voilons pas la face : cela sera long et difficile, car il faudra préserver l'unité de l'Iraq, rétablir de manière durable la stabilité dans un pays et une région durement affectés par l'intrusion de la force. Face à de telles perspectives, il y a l'alternative offerte par les inspections, qui permet d'avancer de jour en jour dans la voie d'un désarmement efficace et pacifique de l'Iraq. Au bout du compte, ce choix là n'est-il pas le plus sûr et le plus rapide ?

Personne ne peut donc affirmer aujourd'hui que le chemin de la guerre sera plus court que celui des inspections. Personne ne peut affirmer non plus qu'il pourrait déboucher sur un monde plus sûr, plus juste et plus stable. Car la guerre est toujours la sanction d'un échec. Serait-ce notre seul recours face aux nombreux défis actuels ?
(...)
De plus, un recours prématuré à l'option militaire serait lourd de conséquences.
Une telle intervention pourrait avoir des conséquences incalculables pour la stabilité de cette région meurtrie et fragile. Elle renforcerait le sentiment d'injustice, aggraverait les tensions et risquerait d'ouvrir la voie à d'autres conflits.

Nous partageons tous une même priorité, celle de combattre sans merci le terrorisme. Ce combat exige une détermination totale. C'est, depuis la tragédie du 11 septembre, l'une de nos responsabilités premières devant nos peuples. Et la France, qui a été durement touchée à plusieurs reprises par ce terrible fléau, est entièrement mobilisée dans cette lutte qui nous concerne tous et que nous devons mener ensemble.

Il y a dix jours, le Secrétaire d'Etat américain, M. Powell, a évoqué des liens supposés entre Al-Qaida et le régime de Bagdad. En l'état actuel de nos recherches et informations menées en liaison avec nos alliés, rien ne nous permet d'établir de tels liens. En revanche, nous devons prendre la mesure de l'impact qu'aurait sur ce plan une action militaire contestée actuellement. Une telle intervention ne risquerait-elle pas d'aggraver les fractures entre les sociétés, entre les cultures, entre les peuples, fractures dont se nourrit le terrorisme ?
(...)
Comment faire en sorte que les risques considérables d'une telle intervention puissent être réellement maîtrisés ?
(...)
Monsieur le Président, à ceux qui se demandent avec angoisse quand et comment nous allons céder à la guerre, je voudrais dire que rien, à aucun moment, au sein de ce Conseil de Sécurité, ne sera le fait de la précipitation, de l'incompréhension, de la suspicion ou de la peur.
(...)
Et c'est un vieux pays, la France, d'un vieux continent comme le mien, l'Europe, qui vous le dit aujourd'hui, qui a connu les guerres, l'occupation, la barbarie. Un pays qui n'oublie pas et qui sait tout ce qu'il doit aux combattants de la liberté venus d'Amérique et d'ailleurs. Et qui pourtant n'a cessé de se tenir debout face à l'Histoire et devant les hommes. Fidèle à ses valeurs, il veut agir résolument avec tous les membres de la communauté internationale. Il croit en notre capacité à construire ensemble un monde meilleur.

Je vous remercie."

Dominique de Villepin, Discorso all'ONU prima della guerra in Iraq, 14 febbraio 2003. La Francia non prese parte alla guerra voluta da George Bush.


La guerra non è mai questione di religione, quasi nemmeno nel XVI secolo. Men che meno di barbarie e civiltà. Quella è polvere negli occhi: vale per trovare carne da cannone a buon mercato. Gli stessi che l'acclamano s'adoprano perché vi siano sempre abbastanza ignoranti, e poveri, e disperati, e perbenisti illusi e ottusi per credere di conoscere il loro quarto d'ora da eroi facendosene confondere e sostanzialmente uccidere. Ma la guerra è tutt'altro: è affare economico. E' soldi, affari, potere, distrazione interna, uscita da crisi economiche gravi e prolungate.

"Mes chers compatriotes,
Ce qui s’est produit hier à Paris et à Saint-Denis près du Stade de France est un acte de guerre et face à la guerre, le pays doit prendre les décisions appropriées. C’est un acte de guerre qui a été commis par une armée terroriste, Daech, une armée djihadiste, contre la France, contre les valeurs que nous défendons partout dans le monde, contre ce que nous sommes : un pays libre qui parle à l’ensemble de la planète. C’est un acte de guerre qui a été préparé, organisé, planifié de l’extérieur, et avec des complicités intérieures que l’enquête permettra d’établir. C’est un  acte d’une barbarie absolue : à cet instant 127 morts et de nombreux blessés.
(...)
J’ai veillé à ce que tous les dispositifs soient renforcés à l’échelle maximale: des militaires patrouilleront en plein Paris tout au long de ces prochains jours. La France parce qu’elle a été agressée lâchement, honteusement, violemment, la France sera impitoyable à l’égard des barbares de Daech. Elle agira, dans le cadre du droit, avec tous les moyens qui conviennent et sur tous les terrains, intérieurs comme extérieurs, en concertation avec nos alliés qui eux-mêmes sont visés par cette menace terroriste. Dans cette période si douloureuse, si grave, si décisive pour notre pays, j’en appelle à l’unité, au rassemblement, au sang-froid et je m’adresserai au Parlement réuni en congrès à Versailles lundi pour rassembler la Nation dans cette épreuve. La France est forte et même si elle peut être blessée elle se lève toujours et rien ne pourra l’atteindre même si le chagrin nous assaille. La France elle est solide, elle est active, la France elle est vaillante et elle triomphera de la barbarie ; l’histoire nous le rappelle et la force que nous sommes capable aujourd’hui de mobiliser nous en convainc.
Mes chers compatriotes, ce que nous défendons c’est notre patrie, mais c’est bien plus que cela. Ce sont les valeurs d’humanité et la France saura prendre ses responsabilités et je vous appelle à cette unité indispensable.
Vive la République et vive la France."
Dichiarazione di François Hollande, président de la République, 14 novembre 2015. Discorso completo qui.

sabato 10 ottobre 2015

Immagina di trovarlo al mattino


Trattasi del "budinone della Nella", squisitamente trasmessomi da Pat durante un tempo di tregenda. Infornato ieri notte, previo opportuno dezuccheramento, assaltato oggi.
E adesso devo filare a finire le parole di due post fa. (La teglia è oramai vuota per due terzi.)
P.S.: la ricetta lei non l'ha ancora postata, quindi è giusto che io non la sveli qui.



venerdì 25 settembre 2015

Il Mozart indimenticato degli anni Settanta


Mi piace sempre moltissimo.
Lo abbandono e lo ritrovo con più finezze. Sempre con trasporto.
Questo interludio di piacere e tenerezza mi è sempre sembrato uno dei nuclei dell'opera e del film.
Lo amo.

giovedì 10 settembre 2015

Voglia di clorofilla

Post senza parole.
Non ho tempo.
Le parole devo metterle tutte da un'altra parte. Disingarbugliando le idee che al momento sono un coacervo senza filo di Arianna.

L'eleganza suprema delle tortore.



La sontuosità dei profumi



Riportarsi la bellezza tornati a casa


Perfezione.

mercoledì 12 agosto 2015

Rimpianti o buoni propositi?

Ma come vorrei avere imparato python in questo momento. Non ho tempo!!!
E comunque cercasi maestri (bravi, eh!).

giovedì 6 agosto 2015

"La buona salute, dono del signore"

Parola di Tommaso Padoa Schioppa. "Nell' Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev' essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l' individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità."  Questo l'augurio che tale gentiluomo faceva nel 2001. Programma dalle sfumature medievali e dalla crudeltà reazionaria spietata, Ancien régime feudale in piena regola, oggi preso in parola dal governo passacarte di Bruxelles attualmente in carica nella penisola, penosa caricatura di novità inesistente. Tagli furibondi e forsennati sulla diagnostica, su esami costosi e delicati come le TAC e le risonanze, le prestazioni odontoiatriche, facendo finta di non sapere come in realtà queste ultime siano di fatto già limitate alle estrazioni e a interventi complicati. Prese di mira anche analisi come i trigliceridi, ogni possibilità di prevenzione, di monitoraggio è riservata a chi, grazie ai soldi che ci vengono tolti insieme all'assistenza sanitaria, potrà invece permettersi ogni controllo necessario E non nenessario.
La conseguenza inevitabile sarà un abbassamento della speranza di vita e di vita in salute tra i ceti medio bassi, che non potranno permettersi di pagare gli accertamenti di tasca propria se non in casi estremi, data la consapevole politica di tagli ai salari e pensioni coniugata a quella dei tagli ai diritti, come appunto è la salute. Dov'era la troika? In Grecia? Perché quei cattivoni corrotti s'erano indebitati (si suppone mentre le banche erogatrici dei crediti con soldi altrui, cioè dei risparmiatori, quelle banche così attente alle regole, erano distratte a guardar farfalle) per poi andarsene in pensione a cinquant'anni e tutti in spiaggia col mojito? Ah, ah: che risate. La troika è qui da un pezzo, mentre noi stiamo ancora a discettare di austerità si/no: la UE serve solo a imporre l'austerità, vale a dire la redistribuzione ai ricchi di quella porzione di denaro che aveva finora garantito ai poveri una minima dignità. Tutto questo viene teorizzato da Padoa Schioppa e messo in atto oggi, mentre il leguleio di turno, ben remunerato si suppone, fornisce copertura legale all'usurpazione fatta ai popoli del proprio destino.
 La rabbia è per la cecità di quanti, nel momento stesso in cui vengono derubati di futuro e ormai persino di vita, ripetono ancora a pappagallo la necessità di subire i tagli per espiazione e salvezza di non si sa bene quale parametro nazionale o valuta sovranazionale. La rabbia è per chi accetta imposizioni simili da parte di una manica di speculatori senza scrupoli come legge divina e naturale, anziché come furto e minaccia. E' oggi imposta una dichiarazione di guerra che chiama rivolta dell'anima e della mente contro un banditesco sopruso, in un'opposizione costante e inesausta, in un rifiuto della ricostruzione propagandistica di ciò che realmente sta avvenendo nel nostro mondo distrutto. La rabbia è per chi continua a pensare che sia ovvio e logico sacrificarsi in nome di un' Unione europea nata per opprimere i popoli, non per garantirne la dignità, sperandone in cambio un vantaggio che non è mai esistito.
La rabbia è per la rassegnazione, il volgere la testa dall'altro lato sospirando che "è sempre stato così". No, non è sempre stato così. Soprattutto non è affatto necessario che sia così. Assistiamo paralizzati a un ridisegnare complessivo dei rapporti sociali ed economici che non ha precedenti in oltre mezzo secolo: e ci lasciamo derubare come inetti senza coscienza.
La UE andrebbe politicamente sfracellata prima che sfracelli noi.

martedì 4 agosto 2015

Il lusso

Due femmine innanzi a una vetrina, profondamente assorte nell'operazione che i Francesi chiamano, appunto, lèche-vitrines. Sbrilluccicano girocolli di perle vere (qualcosa per cui mi venderei subito, ma dev'essere un girocollo, preferibilmente antico, della giusta grandezza, possibilmente con un'impercettibile sfumatura rosata), orecchini di brillanti, anelli di smeraldo.
"Pensa che bello avere un uomo che ti offre questi gioielli!" sospira una.
"Pensa che bello potersi offrire questi gioielli, quando se ne ha voglia!", esala l'altra.

Quale dei due sospiri appartiene a chi scrive?

lunedì 13 luglio 2015

Si scrive Bruxelles 2015

Si legge Monaco, 1938.
Non che sia particolarmente originale come analogia, ma da due giorni non riesco a levarmela dalla testa.

Se non è un atto di guerra...

... e una capitolazione. Chissà se passava Scilipoti da quelle parti?
Ah, già, ma la UE ci protegge dalla guerra. Come no.

Tsipras è riuscito a deludere, anzi a eludere il voto del suo popolo, rimpastare il suo governo e spaccare il suo partito in meno di una settimana. Ce l'avessero messo apposta da Francoforte non avrebbe saputo fare di meglio. Manca solo il cambio di maggioranza, ma c'è da stare tranquilli. E' evidente che si va in quella direzione.

A proposito: l'"Eurogruppo" che conduce le trattative con il governo greco non è un organismo alieno piovuto in Belgio come un magnete formato da "burocrati" non meglio identificati. L'Eurogruppo sono i ministri delle Finanze dei governi che formano la UE. Ne fanno parte l'Italia e il suo governo come tutti gli altri.
Di certo "la volontà popolare" bisogna cercarla altrove.
Fuori dalla UE, intendo.
Nella UE è inutile che il popolo si esprima contro le scelte di chi lo governa. Il voto deve sancire la forma delle elezioni libere, non influenzare le decisioni politiche, men che meno quelle economiche. Del resto ce lo ricordano a ogni piè sospinto, che bisogna fare a meno del consenso.
Tsipras non ha avuto il coraggio di assumere le conseguenze della nuova dottrina politica vigente. Ne paga le conseguenze, trovandosi costretto a far approvare al Parlamento tutto ciò che il suo programma elettorale voleva cambiare. In fretta, come la presidente del Parlamento aveva promesso che non si sarebbe più fatto. Alla presenza della troijka (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) rinunciando di fatto alla sovranità nazionale. Come la stessa presidente aveva promesso che non si sarebbe più fatto.
In breve, Tsipras dovrà cambiare casacca, e di corsa anche. Come quando qui fu introdotto il pareggio di bilancio nella Costituzione (atto idiota sotto ogni punto di vista), al grido di "Fate presto! Ce lo chiede l'Europa!!" (la UE NON è l'Europa, comunque, ricordiamolo), abolito l'art. 18, distrutte le pensioni. Dopo di allora, infatti, la prosperità dell'Italia non ha fatto che brillare e il suo indebitamento si è drasticamente ridotto. Con la differenza che da noi gli elettori non avevano dato mandato a nessuno per farlo o per non farlo.
Lo vogliamo capire che il disegno è lo stesso?
Ah, ma la UE è una cosa buona, ci protegge! Per esempio da quei cinquantenni greci che, malvagi!, nel 2009 chissà come mai si son precipitati come un sol uomo a mettersi in pensione. Vedi un po' che abbiamo scoperto da dove è nata la crisi mondiale: lo Stato greco ha improvvisamente dovuto pagare milioni di pensioni in più. Ma questo è uno scoop! Ma come abbiamo fatto a non accorgercene finora!? Meno male che c'è qualcuno che pensa per noi, che ci guida con mano salda nelle tenebre della nostra incompetenza. Che poi le pensioni greche siano in media di 630 euro mensili, che l'età media della pensione sia 61 anni e rotti mentre sotto i 60 ci vada meno dell'8%, che con 37 anni di contributi si possa andare in pensione a qualsiasi età e meno male, direi, che per chi va in pensione anticipatamente ci sia una decurtazione del 6% per ogni anno non lavorato, (p. 113 e 114 nn. 12, 13), che siano compresi anche coloro che hanno subito infortuni o fatto lavori usuranti, che il resto della spesa sociale in Grecia sia molto più basso che per gli altri paesi UE, segno che le pensioni coprono, male, è vero, ma innegabilmente, un'assenza di servizio pubblico e non rappresentino il suo contrario, evidentemente non ci interessa saperlo. Soprattutto non interessa conoscere la reale entità di un fenomeno, anzi, di uno scandalo da tutti ritenuto essenziale per il funzionamento di un continente intero. Perché il numero e l'importo di queste pensioni ai cinquantenni paiono difficilissimi da quantificare con esattezza se non si è del settore. Io non sono un genio, superfluo precisarlo, ma ho cercato i dati, sottolineo quelli ufficiali e di fonte pubblica, per tre giorni in rete senza trovarli. Ovvio che tenterò ancora, perché ormai è questione di tigna. Ovvio anche che un economista non avrà difficoltà a reperirli, avendo sottomano ben altra documentazione e soprattutto tempo per cercarla, ma per quanto riguarda gli altri, mi chiedo con sincera curiosità chi conosca realmente, tra i tanti beninformati che girano, non solo il numero e il costo dei pensionati a 50 anni, bensì la portata reale sull'economia greca e UE di una simile spesa. O semplicemente che se lo sia mai chiesto, anziché ripetere quel che elargisce la stampa di regime: "Bisogna tagliare le pensioni! Le pensioni costano troppo!!". "In god we trust: others bring data" qui da noi non ha mai attecchito molto.

La UE non protegge i suoi cittadini. Non l'ha mai fatto, per il semplice motivo che non è nata per questo. Quanto sta avvenendo oggi era già pianificato e auspicato nel Libro bianco per l'Europa, detto anche GROWTH, COMPETITIVENESS, EMPLOYMENT - THE CHALLENGES AND WAYS FORWARD INTO THE 21st CENTURY - WHITE PAPER, firmato da Jacques Delors nel 1993 a nome della Commissione europea (ma che vizietto usare il nome di un continente per riferirsi all'organizzazione politica. Avrà un significato, per caso?).
C'era già tutto: l'indebolimento del diritto del lavoro mascherato da soluzione alla disoccupazione, l'abbassamento dei salari per i livelli bassi, la rimozione di qualsiasi impedimento alla libera circolazione dei capitali e molto altro. La UE nasce per questo, è questo e non sarà mai altro. Facciamocene una ragione. Non protegge noi. Protegge chi l'ha commissionata, e chi l'ha commissionata sono i grandi investitori.
Purtroppo, prima di Tsipras, la sua ignavia la pagherà il suo paese e noi con lui.

Vorrei parlare il norvegese e essere abbastanza giovane da fare le valigie. Da stasera. E senza voltarmi indietro. Inutile dibattersi in una situazione chiusa. E questa lo è.
I singoli individui non sono più forti delle grandi trasformazioni sociali.
Ma io, pur perdendoci il sonno, il tempo, il respiro, e stupidamente le occasioni, non riesco a rassegnarmi a farmi sgozzare così.
Troppi altri sì; e ci faranno sgozzare tutti.

sabato 11 luglio 2015

Per quel che vale

Ero in metropolitana la mattina di mercoledì 8 luglio, verso le 9. Un altoparlante chiamava i tecnici Kone a intervenire nella stazione di Furio Camillo.
Ero di nuovo nella stessa metropolitana giovedì 9 poco prima delle 18. Un altoparlante informava che la stazione di Furio Camillo e quella di Spagna erano chiuse.
In mezzo è successo questo. Nell'articolo si dice tra l'altro che forse era in corso una manutenzione su quegli ascensori.
Anche a Spagna c'è un ascensore.

domenica 5 luglio 2015

Rispettare le regole, pagare i debiti, niente trucchetti: benvenuti al caffè Austeros

Aggiornamento: la puntata, assolutamente meritevole, è ora sottotitolata integralmente in italiano qui: e accidenti a youtube che non carica più direttamente i video in post preesistenti.

Questo post non parla della Grecia, ma della Germania. La frase del
titolo è lo slogan con cui il governo tedesco e non solo quello si riferisce al
debito greco. Si dice spesso che il governo tedesco deve seguire la linea dura con la Grecia per via dei suoi elettori, che non gli perdonerebbero cedimenti. Eh, già, la democrazia innnazitutto.

Ma davvero tutti i tedeschi, quei famosi elettori, che ci
viene ripetuto ad ogni piè sospinto, la signora Merkel non dovrebbe
scontentare (salvo poi predicarci che il consenso democratico quando è
in casa d'altri non deve contare) la pensano esattamente così? Qui un estratto di
una trasmissione di satira del secondo canale televisivo tedesco ZDF:
Die Anstalt (sottotitoli in inglese, una versione in italiano per chi ha
facebook qui. Io non ce l'ho e avuto problemi a visualizzarla).

Quel che è interessante del video è la sua costruzione. In meno di dieci minuti, mette a confronto i tedeschi con la propria storia, con il reale ruolo dei politici e degli alti burocrati del dopoguerra rispetto a quella storia, con le persone sulla cui vita più direttamente hanno influito le formule giuridiche e burocratiche da costoro escogitate. Demistifica gli artifici retorici e il linguaggio con cui i politici prima e i mass media poi ci hanno raccontato e insegnato a ragionare, anzi a non ragionare, ma a RIPETERE frasi altrui senza riflettere, su questioni che coinvolgono carne, sangue e rapporti di forza del nostro mondo.

Uno splendido condensato di teatro civile e una lezione di documentazione in meno 9 minuti e mezzo, al caffè Austeros.

Da non perdere fino in fondo.

P.S.:Il primo video è seguito da una serie di servizi giornalistici sulla Grecia.
Altri post: La disinformacija
                 Magari fallisse la UE

sabato 4 luglio 2015

La disinformacija

Un blog ha provato a verificare un articolo apparso sul Corriere della sera a firma del vicedirettore Federico Fubini che descrive una Grecia diversa da quella che lui ha visto. Niente code ai bancomat, niente Acropoli disertata dai turisti (magari!), niente navi vuote in partenza dal Pireo. Niente negozianti che assaltano i turisti con aria equivoca, niente velate minacce di furti come viene più o meno velatamente insinuato in un altro articolo sempre dal Corsera, questo letto e debitamente conservato da me mercoledì 1 luglio a p. 11 "Tra i turisti per la strada inseguiti dai negozianti". E a lato, in una colonnina non firmata: "I turisti potrebbero diventare bersaglio facile per chi è in cerca di denaro". Ma non esisteva qualcosa di non proprio lecito che si chiamava "procurato allarme"?

Però l'articolista ha ragione, in prospettiva: se tu riduci un paese alla povertà, come la troijka  e l'euro stanno facendo in Grecia da oltre cinque anni, perché poi ti stupisci se si cercano i soldi dove si può? Ricorda niente questo scenario? A me sì: ricorda i pochi paesi del sud del mondo che conosco, (e che adesso non potrei più visitare perché il mio salario è tenuto troppo basso per permettermi di viaggiare; quella percentuale di reddito nazionale però non è scomparsa: semplicemente adesso si è scelto di farla andare altrove), ricorda la pressante richiesta dell'elemosina nei Caraibi, nell'India di qualche decennio fa. O i racconti sul Brasile, ad esempio. E' a questa società che la politica economica della UE, di cui l'indipendentissimo quotidiano serale si fa portavoce volenteroso, vuole ridurre l'Europa, proclamando ovviamente di volere l'opposto. E proclamando neppure tanto velatamente che se i popoli si rifiutano non bisogna tenerne conto. Del resto democrazia era una così brutta parola, là dove l'hanno inventata.  Ma tutto questo non conta.

Se vuoi sicurezza, per tornare alle preoccupazioni esternate dal Corsera, dai dignità.
Se vuoi dignità NON tagliare il welfare (è un salario indiretto, che mette in comune il contributo di tutti per poter dare a tutti quel che da soli non riuscirebbero mai a permettersi, ad esempio un intervento chirurgico o un'istruzione superiore, non un debito riprovevole).
Peccato che la stampa predichi da anni tutto l'opposto.
E che troppo pochi ancora perdano - o prendano?- tempo a dubitare, porsi domande, riflettere, verificare.

Precedente: Magari fallisse la UE








lunedì 29 giugno 2015

Magari fallisse la Ue

Signora Merkel
magari fallisse! Sì, magari fallisse la Ue, non l'Europa che è altra cosa. Magari la Grecia avesse il coraggio di ribellarsi sul serio, e di dare quella lezione di civiltà che la Francia non ha avuto il coraggio di dare. Magari la Grecia si ribellasse a chi, come lei e il suo governo, docili passacarte delle banche tedesche, l'ha torturata oltre ogni immaginazione - del resto ne avete una certa esperienza, dalle vostre parti, di toture ai popoli. Magari vi mandasse dove vi meritate. Magari il vostro progetto egemonico fallisse una volta di più, ché di miseria all'Europa, quella che senza vergogna sbraitate di voler proteggere, mentre ne distruggete valori e civiltà sotto i cingoli dei vostri interessi speculativi e nella morsa della miseria dei tanti, ne avete già portata (anche col valido aiuto del paese dove sono purtroppo nata) due volte negli ultimi cento anni.
 Ma come vi permettete, lei e il presidente delgi Stati Uniti, di decretare cosa un popolo deve decidere della sua vita? Ma come possiamo essere così frullati di cervello da ascoltarvi passivamente, messaggeri di morte e di fame?
Magari la Grecia tenesse. Ma non sarà così.
Se ci fosse stato un rischio serio, signora Merkel, non avreste permesso che in Grecia si votasse. Avreste fatto come quella volta, ricorda?, in cui il presidente Paapndreu voleva che il suo paese votasse il primo bestiale programma di tagli imposto dalla troijka, il Memorandum. Allora i Greci non poterono nemmeno scegliere se stranoglarsi con le loro stesse mani. Se adesso avete permesso o permetterete un voto, sarà solo perché ormai, come accade non solo in Grecia, siete già certi di controllare il risultato.
L'Europa, signora Merkel, l'avete ammazzata voi da un pezzo.
Che la storia ancora una volta vi presenti il conto amaro che gli uomini, stavolta, non hanno più la forza di presentarvi.
Nei secoli dei secoli: che siate maledetti.

lunedì 13 aprile 2015

Sole e zuppe

Uscire dopo una giornata di lavoro su questa prospettiva rimette in pace con il mondo e ridimensiona di molto qualche isterico presente nel mio pur minimo raggio d'azione sul pianeta:


Accaparrarsi la prima panca libera e allungarsi al sole senza ritegno, guardando felice ai due lati del ponte:

 

 Si annusa il vento della Normandia portare le nuvole insieme al salso del mare (sabato sarà gelido e grigio, e pioverà).
Si ripensa a lei che ci ha scandito le ore, accompagnandoci limpida e serena:

Si alza di tanto in tanto lo sguardo:

Colonna sonora che ricorda un film , ovviamente in bianco e nero, scoperto da adolescente:

Il fiorire della primavera nordica:




 

 Una storia che mi è cara:


Una casa che sceglierei, l'abbaino più basso, a destra (restiamo discreti):
A meno, naturalmente, di non avere il piano nobile del palazzo dirimpetto (che non si vede).


Ah, la zuppa. L'idea era rifare questa ricetta, scoperta su un blog che mi piace per la sua varietà di ingredienti, le molte verdure e i cereali poco usati, l'attenzione alla stagionalità che sfrutta i prodotti migliori, oltre ad avere una bellissima immagine. Ma niente pane di segale. Però nel fondo della dispensa è rimasta dall'inverno della segale in chicchi. Secondo passo: il cavolfiore. Che nel frigo c'era, ma qualcuno passando di lì se l'era intinto nella maionese a mo' di crudité. Rimangono le piccole rape. Una cipolla, qualche rametto di timo fresco. Due funghi di Parigi che passeggiano nel frigorifero. Il pranzo dell'indomani è pronto. Come lo stufato divenne una zuppa.







venerdì 10 aprile 2015

Morale?

Non è una sorpresa per nessuno che io sia l'opposto della diplomazia, più che altro perché tengo all'indipendenza di giudizio e preferisco, finché ne sono in grado, verificare e  ragionare sui dati che ripetere luoghi comuni. Quando si tratta poi della deflazione salariale, cioè l'impoverimento programmato dei salariati medi e bassi che sta venendo imposta ai paesi europei a tutto vantaggio di un solo paese, meglio dei suoi capitalisti, e di un ceto internazionale di grandi proprietari e speculatori, posso diventare un fiume in piena. Come stasera, quando sono esplosa davanti a due anime belle, ecologiste e descrescitiste ma di buon gusto, media borghesia delle professioni, rimaste alla fola stantìa che i tagli vanno bene perché si tratta dei "privilegi" e degli "sprechi" del pubblico impiego e "ce lo chiede Maastricht". La mia vicina di tavola, forse per smorzare la situazione, attira l'attenzione su di sé, pensando di spiegarmi la questione. Finisce che, dopo un lungo giro di parole su quale sia lo scopo di questi tagli, e dove finiscano questi risparmi, si ritrova a borbottare: "Be', sì, effettivamente, se è per mandare soldi nei paradisi fiscali [ipotesi sua] che risparmiamo, non è proprio il paradiso". Vabbe', passiamo al formaggio. Alla fine della serata, mi chiede: "Verresti a fare una lezione da noi?". Sì, certo (mi occupo di tutt'altro) con piacere, grazie. Morale, forse: a volte serve innanzitutto mostrare di avere idee e saperle difendere.

giovedì 9 aprile 2015

William per Ale

Cara poeta
qui una lezione di William Christie sulle passioni nell'opera barocca, con orchestra (bellissima) e cantanti (non troppo espressivi, ma non male). E' in francese, ma  comprensibilissima. Visibile fino a settembre sul sito della Philarmonie.

mercoledì 8 aprile 2015

Briciole

Mea culpa. Oggi non è stata una gran giornata. Mi sono persa stupidamente dietro a vari blog e ho buttato tutto il tempo che avrei potuto dedicare ad altro. Idiota me, perché poi quando lo faccio sono molto più felice e soddisfatta. Ho genialmente deciso di innovare la preparazione dell'hummus e ci ho messo la tahine quando i ceci erano crudi. Avevo incontrato una signora nel negozio biologico, una specie di maga con i capelli bianchi, lunghi, magra e dall'aria vagamente esotica, che faceva assaggiare il suo hummus per promuovere il vegetarianesimo. Potendo, addirittura il veganesimo. "Se si mette meno tahine si ottiene un formaggio delizioso, sostiene, sa, per quelli che dicono che non potrebbero vivere senza formaggio". A parte che se voglio un formaggio lo voglio di latte, e se voglio dei legumi non ho bisogno di chiamarli formaggio, sono convintamente onnivora, basta che non mi si parli di soia, quindi ho trovato il suo hummus delizioso. La signora mi ha spiegato che lei lo fa con i ceci sbucciati e germogliati, un terzo di tahine, aglio e succo di limone a piacere. Da li' il mio tentativo, che pero' si è concluso nello stesso spirito, anzi giocoforza un po' meno, di quando ho voluto mettere il vino nella borsa dell'acqua calda. La tahine infatti andava aggiunta ai ceci debitamente cotti.
Mi vedo sfilare dalle mani i giorni che rimangono al mio ritorno in modo inconcludente. Mi sento un po' stanca.
Prima che finisca la giornata vado a correre, ora che il tempo lo permette. Non mi si chieda né quanto né come: come tutte le attività ripetitive, correre lo detesto cordialmente. Lo spirito con cui lo faccio è quello della medicina del dottore d'infanzia: fa bene al fisico e al morale, quindi sciroppatela a naso e occhi chiusi. Quindi fuori discussione che io pensi anche lontanamente a: 1) mettermi arnesi di tortura nelle orecchie, ché mi danno fastidio solo a pensarci 2) comprare altri costosissimi arnesi per coordinare battiti, passi e chilometri 3) portarmi un orologio addosso, dato che non ne possiedo 4) sapere che distanza ho percorso e per quanto tempo ho corso 5) investire in abbigliamento che non siano vecchi shorts e vecchie magliette, più un buon reggiseno e soprattutto un paio di buone scarpe (essenziale). Diciamo che in modo molto approssimativo, genere occhiata ai parcometri ubiqui, cerco di alternare due sedute o meglio rimbalzate di 20 minuti con una di un'oretta, che possono arrivare a 40 o scendere a 45, e per me è già troppo sforzo assemblare tutte queste informazioni, ché nella vita ho altro di cui preoccuparmi e da contare. Cio' posto, per me l'unico sport gradevole è quello che si fa in mezzo alla natura e il meno tecnico possibile: quello che amo profondamente è l'escursionismo - anche li', per me l'importante è l'itinerario, non certo il tempo o l'altitudine (se non come precauzione di abbigliamento e condizioni meteo). Seguito dal ballo, se si puo' intenderlo come tale. Se proprio mi dovessi dare allo sport dove bisogna pensare, sceglierei due cose che non sarei mai e poi mai in grado di fare, ma che trovo belle oltre ogni dire: lo sci escursionistico e il kitesurf. Comunque oggi zampettavo in cerca di aree verdi lontane dalle automobili, quando finisco in mezzo a una marea di bimbetti nel cortile di una scuola e palestra comunali (dove abito è pieno di impianti sportivi pubblici, stadi, campi da gioco, piscine che frequenterei se l'acqua fosse calda come alle terme). Stanno animatamente discutendo mentre io faccio i miei giri, poi uno prende il cancello e mentre anche io sto per fare lo stesso gli altri lo seguono a ruota, concentratissimi, filando sui monopattini che qui sono di gran moda. Dopotutto sono a casa loro: io mi fermo per lasciar passare gli ultimi. Il loro capofila, ben meno di dieci anni, bellissimo futuro grand brun con una conca di capelli mossi e un sorriso serio, mi sorride e mi fa "Merci.". Poi scappano tutti dietro ai loro amici. Ecco, questo paese e la sua civiltà non smetteranno mai di sorprendermi e di innamorami.
e allora bestia, cosa perdi tempo a cincischiare invece di oprare perché divenga il tuo??? idiota d'una falchetta!
I bimbi francesi sono in genere estremamente tranquilli ed educati. Questo perché sono molto più liberi e indipendenti dei nostrani: le madri sono meno ossessive, gelose e possessive (magari dietro tutte le lagne perché signora mia non hanno più spazi di libertà, eh), i bimbi possono esplorare in tranquillità. Rimproveri e discussioni non avvengono generalmente tra pianti e urli, ma con toni pacati e senza le insopportabili minacce "Le prendi" "lo dico a tuo padre" "adesso basta", seguite da implacabili andirivieni e contrattazioni. In compenso quando c'è un no, è un no, e i risultati si vedono.
Ma noi siamo immaturi anche su questo. In generale in Francia c'è molta più attenzione all'altro, allo spazio anche fisico dell'altro. Lo si vede nei luoghi di passaggio: chi si ferma sistematicamente a chiacchierare sulle scale del metro? o sulla soglia di una porta? degli italiani, di sicuro, dei francesi praticamente mai.


sabato 4 aprile 2015

Sabato Johannes Passion

Un anno fa di questi tempi ero nell'eden di Oxford, con Haendel. Stasera a casa con internet e Bach. Non avevo mai ascoltato per intero questa meraviglia. Uscendo dalla biblioteca sono corsa in fretta a casa rabbrividendo nel vento gelido che ha finalmente asciugato Parigi dopo una settimana di piogge vere, qui che non piove mai, di quelle che se non hai l'ombrello ti bagni sul serio, come in Italia. Ci siamo attaccati tutti allo schermo, sgranocchiando zenzero candito al cioccolato, e ora c'è la luna sul letto, la candela accesa, e il godimento nelle orecchie e nel pensiero. Un' esecuzione molto bella, Jacobs dirige infinitamente meglio di quanto non cantasse un tempo. Chissà se il prossimo anno riuscirò a sentirlo dal vivo. Come sentirsi in pace.
Aggiornamento: tutti tranne me sapevano che il concerto è visibile liberamente sul sito della Philarmonie fino al 4 ottobre. Purtroppo non ci sono link a Blogger, ma solo ai social (e che mania!). Dopotutto dato che è denaro pubblico, mentre i prezzi sono da élite, e il luogo, all'altro capo di Parigi, non eccessivamente comodo, è giusto che tutti possano approfittarne. Ecco quello che l'unione europea ci sta togliendo, tra molte altre cose... 

mercoledì 25 marzo 2015

Variazioni

Tre domande fatte. Rigorosamente l'ultimo giorno, ché se no manca di pathos.
Probabilmente inutili, ma è già tanto essere riuscita a spedirle.
Ora, di due m'importa relativamente, ma una. Una sarebbe il sogno dopo cui morire felice. O vivere nell'empireo, ecco.





Una relazione spedita, con soli 25 giorni di ritardo. Spero gli vada bene ché non ne voglio più sentir parlare.
Mi sono anche divertita alla fine, ma è stato un impazzimento.




Un'altra relazione da spedire con non so quanti giorni di ritardo, perché non l'ho nemmeno cominciata, ma almeno venticinque + 1 :-/.



Un lavoro rognosissimo e che non mi piace che mi hanno appioppato e a cui non ho potuto dire di no.
Il panico se penso che tutto questo avrei dovuto farlo, nella mia testa utopica, prima di Natale. Prima di essere sommersa da un diluvio, poi di trovare una barchetta.
La voglia irefrenabile di scapparmene a seguire per un po' le mie faccende che giacciono dimenticate.

Che fra poco più di un mese mi tocca il purgatorio italiano e che ogni volta è più difficile tornare.

Ma stasera almeno il fardello è più lieve.
Alleluja! Come canta(va) Diana Damrau, ecco, mi sento così.






lunedì 16 marzo 2015

Fonte di stress risparmiabilissima

Se c'è una cosa che mi scombussola più di ogni altra è preparare le domande di qualsiasi genere.
Insomma, vendersi. Cosa dire e cosa non dire, cosa vorranno e cosa pensano che dovresti volere.
Giocare agli indovinelli, ché tanto poi si sa che è un susseguirsi di balle cosmiche e meglio sarebbe giocare alle spacconate come i paladini (che ci si inguaiano, ma poi se ne tirano fuori con eleganza).
Ma l'ultima efferratezza in merito à la lettera di motivazione.
Per qualsiasi cosa.
Ma quale motivazione volete che abbia.
Se non quella spasmodicamente perseguita, alla mia veneranda età, di continuare a studiare, pagandomici un tetto sulla testa, la bolletta del riscaldamento e un cibo non avvelenato da supermarket.
Cosa vi devo supplicare a fare, quando lo dicono il mio cv, le cose che ho fatto e scritto, la mia faticosissima scelta di vita.
Cosa devo inventare per affermare, falsamente, che nella vita non ho mai fatto e sognato che partecipare al tal progetto di cui ho saputo l'esistenza al momento del bando. Ma che pure rientra nella disciplina e nella specialità che tratto. Ché se aveste avuto e identificato chi faceva esattamente per voi, non avreste armato tutto questo ambaradam.
Come se non saltasse agli occhi da tutto il resto.
La mia motivazione, come quella di tutti, è la estrema necessità di lavorare. Pagati.
Quindi si accettano tutte le opportunità, coerenti o un po' meno coerenti, piacevoli o un po' meno piacevoli, che restino nell'ambito della serietà: dei committenti, dei metodi, dei progetti.
Non sono moltissime. Per forza possono essere eterogenee, ché anzi dovrebbero dimostrare curiosità e fantasia, purché rigorose.
Questo è il punto.
Il resto è fuffa.
Aziendalista made in USA.
E al diavolo, ecco.

giovedì 12 marzo 2015

Prosit

Quando al termine della seconda notte di lavoro; dopo una settimana avviticchiata alla scrivania senza neanche guardare il viso di tua mamma venuta a trovarti in giorni tragici per via dei convenientisssssimi biglietti low cost a data fissa, ché gli altri non potremmo permetterceli, e ormai ripartita, con la soddisfazione di avere acchiappato uno dei due conigli a zonzo che gli manca solo un po di toilettage, ti ritrovi a volerti versare un bicchiere di vino nella borsa dell'acqua calda prima di abbatterti sul letto, forse è il caso di dire che qualcosa, decisamente, non va :-)
Ma benedetta la sorte di poter lavorare su tutto questo.
A presto, spero.... buonanotte....

mercoledì 4 marzo 2015

La grande infamia

Una cara amica mi ha scritto stupendosi di come nella mia situazione di incertezza sul futuro che vorrei io riesca sembrare soltanto entusiasta di ciò che riesco a fare senza cedere alla rabbia e alla rassegnazione.
Le sono grata davvero per queste parole molto preziose per me, e per tante altre cui risponderò spero presto in modo più personale, ma la rabbia c'è, eccome. Ancora più c'è l'inquietudine per l'incertezza, che mi paralizza spesso mentre dovrei concentrarmi solo sui compiti da svolgere, che sono anche difficili, certo, ma sono comunque fattibili ed amati.
Invece no. Non sempre. Non sempre riesco a essere serena e pronta, perché rosa dal tarlo della preoccupazione di chi si trova crudamente al centro di un processo storico condotto da forze che nessuno sembra voler contrastare. Come adesso che giro in tondo da settimane su una cosa ormai perfettamente risolvibile in un paio di giorni. E mi dispero, e mi riangoscio peggio.
Perché le difficoltà in cui mi dibatto io (almeno in gran parte), in cui si dibattono l'Italia e l'Europa tutta, hanno un nome (non personale, anche se molte persone gli hanno volentieri prestato il loro) e un'origine. Questo ne è il Manifesto spietato (firmato da un volenteroso carnefice tra i tanti e non peggio di tanti), e noi oggi ne subiamo le conseguenze.  Altro che crisi! La crisi è il risultato di queste azioni e dei mezzi con cui sono state messe in pratica, non un fenomeno incomprensibile dovuto alla volontà divina. 
Ma non sappiamo vederlo.
E ora spero di recuperare sufficiente serenità per finire questo benedetto lavoro che avrebbe dovuto esserlo già sabato.
Ma non dimentico. E non posso dimenticare chi come e perché ha scientemente gettato nella miseria un continente intero, che aveva prodotto il più civile modello di convivenza che l'umanità abbia conosciuto. Per compiacere la propria infinita avidità.
Né posso dimenticare la cecità e la superficialità voluta con cui si rimuove il problema, si alzano le spalle, ci si gratifica con consumi scadenti "perché bisogna pur pensare ad altro" o "bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno", "perché tanto è cosiììììì" e altre idiozie narcotiche, non ci si informa, non si sceglie, non si pensa a demolire questi vagoni piombati.

Questi i principi che hanno distrutto e stanno distruggendo il presente e il futuro di troppi (il grassetto all'interno del testo è mio):

" Interventi strutturali difficili ma obbligati

BERLINO E PARIGI RITORNO ALLA REALTA'

I governi di Francia e Germania sembrano aver scelto, ormai senza riserve, la strada di quelle che il gergo economico chiama riforme strutturali. Non sappiamo se andranno fino in fondo; ma se poniamo questa scelta in prospettiva possiamo comprenderne il significato storico e anche azzardare una previsione. Solo sei anni fa Francia e Germania si autoiscrivevano con sussiego nel nucleo dei Paesi in regola su tutto: inflazione e bilancio, direttive europee e stabilità politica. In realtà i semi delle difficoltà già maturavano. La Germania aveva vinto per anni, decenni, combinando la superiore qualità dei suoi prodotti industriali (chi compra una Mercedes non bada al prezzo) con la superiore stabilità dei prezzi: le periodiche rivalutazioni del marco premiavano la combinazione ma vi contribuivano anche, perché proprio esse calmieravano i prezzi. La Francia, dopo la svalutazione del 1983, aveva preso la ferrea determinazione di fare «come e meglio della Germania»; un severissimo controllo dei salari accrebbe anno dopo anno la competitività favorendo la crescita. Proprio il successo della rincorsa francese contribuì a indebolire l' arma vincente della Germania. Nel 1992-' 93, rifiutando la svalutazione sul marco, la Francia si difese da un ritorno al vecchio male. Nell' ultimo decennio entrambi i percorsi si sono fatti impervi. Anzitutto per la Germania, aggravata dai costi della riunificazione e dalla perdita del vantaggio di prima della classe. Poi anche per la Francia, dove si esaurivano i margini della disinflazione competitiva. Quando la corsa dell' economia americana cessò di far crescere tutti, le magagne di ciascuno divennero evidenti e il bisogno di curarle urgente. Francia e Germania si ritrovarono con disoccupazione e disavanzo pubblico pesanti; da severi maestri della stabilità divennero scolari senza il compito fatto. Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l' intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione.  

Nell' Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev' essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l' individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore [! Qui credo si violino proprio i diritti umani] ; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l' apprendistato di mestiere, costoso investimento [e anche qui non stiamo messi bene, come diritti umani].


Il confronto dell' uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l' individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato. Germania e Francia sono Paesi con forte struttura dello Stato, consapevoli di sé, determinati a contare nel mondo, sorretti da classi dirigenti attente all' interesse generale. In entrambe, il modello di società (lo stesso dell' Italia) ha bisogno di coraggiose correzioni, diverse e in qualche caso maggiori di quelle necessarie all' Italia. Le difficoltà sono notevolissime. Ma riesce difficile pensare che, imboccata la strada, i due Paesi non sappiano percorrerla con determinazione.

(26 agosto 2003) - Corriere della Sera"

A marzo 2015 in Italia entra in vigore la più precarizzante delle riforme del diritto del lavoro.
Ancora una volta ci si sta lanciando a demolire le pensioni (dei poveri).
Gli ospedali funzionano sempre meno.
La disoccupazione e la perdita del tessuto industriale sono fiorenti.
Esempi fra tanti. 

Spero di riuscire a andare avanti sul mio articolo, adesso. Ma non è facile, con un peso simile addosso. E niente schermi, o quasi.

L'articolo è consultabile sul sito degli archivi storici del Corriere della Sera.


mercoledì 25 febbraio 2015

I droni ci ascoltano

Sempre sognato di vivere una volta, per un paio d'ore, in una di quelle commedie realmente brillanti di un tempo, in cui si scatenano tutti i contrattempi e le battute irresistibili in una notte.
Mai chiedere troppo al destino.
Data di consegna di un testo fin troppo vicina.
In ritardo che si vede solo la punta delle orecchie, anzi il pelo della punta medesima.
Tutto ancora in mente dei.
Un file .xls concepito da un folle e realizzato da un fantasista.
 Dei .txt che cercano faticosamente di metterci rimedio. Inutilmente. Per ora si riproducono a ritmo appunto conigliesco.
Una settimana di notti insonni e giorni a the e cioccolata. Livello intellettuale ovviamente al massimo, che mica stiamo facendo qualcosa di esecutivo, per soprammercato.
Un sms di mia mamma: "Ma cos'è questa storia dei droni che sorvolano Parigi?" Ah, roba vecchia, ci siamo abituati, mica è la prima volta. Sarà qualcuno che vuole far sapere che lo sta facendo, immagino.
Una notte che dovrebbe essere quella buona per chiudere la parte spalaguano del lavoro.
La connessione salta. Un .txt ricorretto tra le 02.00 e le 07.00 svanisce letteralmente nel non si sa dove, ché il nulla sarebbe già un'indicazione precisa.
Un secondo .txt corretto sul primo recuperato nei bassofondi del pc. Ma il primo è indispensabile.
Tutti partiti per una settimana di vacanza - beati loro!
Ricarica improvvisa del cellulare. Boh? L'avrò fatto in sogno.
Due ore di sonno per sfinimento. La connessione sempre uccel di bosco. I materiali tutti in dropbox. Con le buona maniere, si sa, si ottiene tutto: stacchiamo la spina. Riattacchiamo la spina. La connessione chiede una password. La solita non le piace più. Riavviamo la scatola. Piano piano si decide: mi sento una miracolata.
Riapro la mail. Dropbox solo in interfaccia testuale. Bottoni inattivi. File inaccessibili. Testa pericolosamente sempre più pericolosamente vicina al muro, anzi allo spigolo.
Se cambiassi browser? Deo gratias.
Insomma dopo circa 46 ore di lavoro e due di sonno mi ritrovo "solo" con un lavoro di 5 ore da rifare e sono pure sollevata.
Riparto? Macché.
"P, non mi dici nulla di questa storia dei droni, sono preoccupata. Ti ho anche ricaricato il telefonino!"
Rispondere che dormivo, onestamente non potrei.
Ecco, diciamo che in questo momento, fossero anche B52 in forma smagliante, non ho tempo di preoccuparmene. Facessero loro.

Devono avere capito qual è il bersaglio ideale.
Non è questo, stavolta (e per carità!).

domenica 15 febbraio 2015

Je suis Charlie - E no!

Che si parli di gesti isolati per tre persone che vanno alla morte sparando come furie su chi disegna o fa la spesa, passi. Ma davvero erano disposti al suicidio? O pensavano che qualcuno li avrebbe aiutati in questa cavale? E se invece sapevano di andare incontro alla morte, cosa li ha convinti a ritenere un'impresa suicida preferibile alla vita in un paese ben diverso dal Medio Oriente, di cui erano cittadini certo non favoriti, ma comunque di pieno diritto?
Questo avrei amato capire dagli attentatori di gennaio a Parigi, per questo rimpiango che non ci sia stato modo di farlo. Per un motivo molto semplice: se vuoi lottare contro qualcosa, la devi conoscere. Devi capire perché nasce. Vale per Ebola come per chi spara. Più ti chiudi gli occhi e rispari alla cieca, più sarà facile che altri rinascano a sparare contro di te.

Quando poi in Belgio una settimana dopo altre due persone vengono uccise dalla polizia perché avrebbero preparato un attentato, senza contare la mia inesistente approvazione per l'esecuzione preventiva, c'è da cominciare a dubitare del preteso gesto isolato. Si può pensare all'emulazione, d'accordo.

Quando per la terza volta - o seconda, perché nell'affaire belga l'attentato non c'è stato - si decide e soprattutto si riesce a sparare su un centro culturale che aveva osato parlare di libertà di espressione, di una redazione massacrata e di vignettisti costretti a vivere sotto scorta sul lavoro come a casa, e ci si aggiunge in un secondo tempo l'attacco a un luogo di culto divenuto bersaglio a causa di ciò che fanno da mezzo secolo i governanti di uno stato con cui quel culto viene identificato, questo diventa uno schema troppo sovrapponibile agli attentati di Parigi. Il tutto comincia a apparire meno isolato e meno spontaneo. Davvero i disperati non hanno altro di meglio che sdegnarsi fino a mettere su questo ambardam per un disegno di una rivista che verosimilmente non hanno letto? Davvero credono che il problema delle loro vite venga da lì? Così come diviene meno spontaneo l'esito di questa vicenda: l'esecuzione sommaria del presunto attentatore.
 
Aldilà di ogni considerazione sul giusto processo, non riesco a non chiedermi, sul piano brutalmente pratico: perché queste persone non vengono catturate e fatte parlare? Possibile che si ritenga ininfluente farlo?
Mi dò due spiegazioni, ma le trovo entrambe legate a una visione di corto respiro. Una tattica perdente.
1) La prima ipotesi è che si tratti di impartire una lezione: se ci provate, sappiate che ci lasciate la pelle. Senza tante storie.
2) La seconda che si cerchi di circoscrivere la reazione collettiva e sociale. Un processo comporterebbe una esposizione pubblica molto lunga di una vicenda che in Francia si è voluto purificare attraverso i riti collettivi dell'espiazione in mezza settimana. Il mercoledì il trauma, il venerdì l'esecuzione e la sfilata dell'emozione nazionale la domenica (il tutto ancestralmente cattolico, se ci si pensa). Da un processo potrebbero nascere proteste, disordini, eventualmente altri attentati, fuoriuscendo da quelle polveriere consapevolmente create che sono le cité dell'esclusione, della povertà, della disoccupazione, del traffico di stupefacenti. In un mondo i cui governanti hanno scelto, da 40 anni, la via della redistribuzione ai ricchi delle poche briciole finora sottratte ai profitti per essere redistribuite ai poveri, cioè a chi non possiede mezzi per speculare e investire. In un mondo in cui l'immigrazione che preme e crea innegabili squilibri sociali (ad esempio manodopera in nero disponibile a basso prezzo calmiera tragicamente il mercato dei lavori dequalificati o pericolosi), viene affrontata non affermando un terreno comune di valori, laici,  ma giustapponendo comunità che restano ciascuna per sé senza realmente unirsi. Soprattutto nel modello anglosassone, che infatti censura le copertine di Charlie Hebdo perché rappresentano un Maometto...
Questa è un'enorme polveriera, oggi non più canalizzata da movimenti e partiti di lotta di classe (perché questo è, anche se la parola oggi fa storcere il naso) organizzati in senso laico e rifuggenti dall'attentato come strumento politico. Al loro posto si è preferito lasciar crescere una rete organizzativa e un collettore del disagio di pretto stampo religioso, altamente pericolosi quando compattano povertà ed esclusione verso l'identificazione del male nella società e cultura occidentale, oggetto del desiderio e della delusione insieme, come se essa fosse compatta e non percorsa da opposte teorie, ceti e culture. Dall'Asia all'Africa all'Europa, nel laboratorio degli apprendisti stregoni...
Un processo potrebbe attizzare delle fiamme "costose" da governare, in una società, come la Francia,  dove popolazioni di origine extraeuropea e non, vivono più fianco a fianco che altrove.
 3)La terza ipotesi è che vi siano questioni internazionali in gioco. Come il mondo occidentale si è divertito a mettere fuoco alle polveri dall'Himalaya all'Atlante, adesso qualcuno ha deciso di farsi ascoltare in questo modo. Ma proprio non si può ammetterlo.

Disinnescare invece le cause degli attentati, come sarebbe logico pianificare, - disoccupazione, ignoranza, miseria, esclusione - potrebbe costare più servizi pubblici, ad esempio una scuola migliore e non semplificata nelle zone a rischio, una redistribuzione delle risorse e diverse condizioni di produzione, cioè del lavoro, in termini di salari migliori, di minore precarietà, di industria pubblica, i cui costi le classi dominanti non vogliono pagare. Né mai l'han voluto, tranne quando vi sono state obbligate. Come nel dopoguerra. Con regolamenti, leggi, lacci e lacciuoli. Oh, sì. Benedetti siano.
W il bondage in aeternum.

In mezzo a tutto questo, quelle che vengono chiamate le libertà borghesi. Quelle nate dalla rivoluzione francese e germinate dalle guerre di religione, quelle ribadite dalle socialdemocrazie. Quelle che, finché non costano troppo denaro, possono ancora essere mantenute nei nostri stati in piena deriva liberista.
Quelle la cui fragilità si mostra oggi ogni giorno.
Quelle su cui si riversa l'ostilità di ogni oscurantismo religioso, da sempre.

Quelle di cui a nessun potente importa realmente. Perché i potenti hanno da sempre e per sempre fatto tutto ciò che hanno voluto. Basta leggersi qualcosa sulle antiche aristocrazie per saperlo. La loro morale, la loro vita, le loro regole erano totalmente diverse da quelle da loro imposte a chi non era nobile.
Letture, vita privata, relazioni con gli altri, uso del denaro, della violenza, delle persone. Ogni cosa era misurata sul metro che loro stessi si costruivano. Altro che merletti e ricevimenti col baciamano! La sola cosa ferrea era la solidarietà con il proprio ceto.

In mezzo a tutto questo, persone costrette a essere identificate in una religione. Sempre e comunque. Perché i cittadini francesi o gli immigrati di origine araba dovrebbero essere considerati musulmani tout court? Perché dovrebbero essere definiti in base alla religione più di quanto non si faccia con cittadini di origine europea? Se penso a un francese non mi viene da definirlo "cristiano". Non mi pongo proprio la questione. Perché bisogna invece respingere le persone di origine araba in questa sola definizione? A Charlie Hebdo lavorava un correttore di bozze kabilo. Persona coltissima, emigrato clandestinamente in un paese che adorava, di cui aveva imparato la lingua al punto da poter correggere ai francesi dell'esagono ortografia e sintassi. In base a cosa dichiararlo "musulmano"? Facendo diventare segno pubblico un fatto privato? E' abbastanza certo che i suoi compagni di lavoro non lo avrebbero definito così.
Una persona che conosco e stimo particolarmente ha un lavoro non irrilevante nel settore pubblico ed è estremamente credente. Si definisce "europea". Si defnisce in base al proprio lavoro. Si definisce in base alla sua religione soltanto in ultimo, facendolo precedere dalla parola "laica". Si tratta ripeto, di una persona realmente credente e praticante. Non di quelli all'italiana che si svegliano solo quando c'è da sposarsi (dopo decenni di convivenza e dozzine di relazioni, per tacere del resto) perché "in fondo in fondo sono credente, sai? però a modo mio, eh" e "in Chiesa è più bello" ma bravi! salvo poi sbuffare perché c'è da seguire il corso prematrimoniale, o quando c'è da far fare la prima comunione ai figli "perché non devono sentirsi diversi": ma bravi due volte!!
 
Il ceto intellettuale oggi si trova intrappolato in questo spazio di manovra sempre più esiguo. Da un lato con problemi forti di sopravvivenza materiale, dall'altro con libertà di manovra e di espressione sempre più compresse. Anche a suon di pallottole. Perché appunto, l'irrompere della brutalità e della violenza economica liberista si sposa con il via libera allo sfogo delle tensioni sociali nell'oscurantismo. Con il rifugio in valori anzitutto irrazionali e non governabili dall'essere umano, come la fede, la grazia, la predilezione divina che darebbe una superiore autorità  a chi se ne ritiene portatore. Gott mit uns stava scritto sui cinturoni delle SS...
Entrambi vedono nelle libertà il nemico. Entrambi sono favorevoli e funzionali alla medesima struttura economica, al dominio dei pochi sugli esseri umani.
Tutto sommato, l'identificazione del nemico con chi pensa e chi disegna, fa comodo ad entrambi.

In mezzo a tutto questo, la coscienza comune, che spesso dice: "D'accordo, tu disegni, a me non piace. Fine della storia." Oppure "Faccio un altro disegno in risposta." Cosa che farebbe la delizia di Charlie Hebdo, sono sicura. Sarebbero capaci di pubblicargli le vignette loro, se fossero ben fatte, per quanto sanguinose fossero. Fin quando reggerà questa coscienza? Per ora è stata quella che in Francia ha prevalso (ma non in Inghilterra, dove appunto la copertina di Charlie è stata censurata). Aggiungiamoci le intimidazioni in Danimarca. Lo spazio pubblico e laico sta cendendo all'imposizione del discorso lecito o illecito da parte dell'oscurantismo religioso armato più in fretta di quanto non si pensi. Quanto ci metteremo a pensarla tutti come i giornali inglesi?

Ecco perché non sopporto i maisti della solidarietà quando si tratta di libertà di opinione, di espressione, di laicità. Perché in quello che pare loro un acuto e superiore sottilizzare, spalancano le porte alle peggiori alleanze dell'oppressione. 

Qui c'è un interessantissimo articolo di uno scrittore danese sulla riflessione in atto rispetto agli attentati.

sabato 14 febbraio 2015

Lettera a una persona a cui nessuno parla



Inutile negarlo. Inutile esorcizzarlo. Ci si passa sempre, prima o poi. A tutti potrebbe accadere di ritrovarsi da soli, privati delle proprie coordinate emotive e materiali, e di essere costretti a passare le giornate di festa o di riposo senza voci intorno, senza presenze. Con l’impressione che nessuna premura si manifesti mai. Una cosa, ammettiamolo, abbastanza infernale, che ne siano causa l’indifferenza, l’imbarazzo, gli impegni, l’inevitabile vita di ognuno, o veramente la cattiveria delle persone. Una volta un blogger commentò un post dicendo che lui tentava sempre di rivolgere la parola alle persone, solo per scambiare due parole senza altri fini, lasciare il piccolo segno di una presenza. Così oggi scrivo una lettera a una persona cui sta capitando di passare i giorni di festa senza parlare con nessuno, pur non conoscendola, per indirizzarle una parola io, solo per raccontarle qualche cosa da una città lontana. Una passeggiata. Di quelle piccole cose insignificanti ma piacevoli che ci fanno rimanere nel mondo quando le si accoglie con quella buona creanza verso sé stessi e verso gli altri, quella cura di sé, che spesso ci salva dalla deriva personale, anche nei momenti duri. Oggi  ho scoperto un piccolo angolo tutt’altro che nascosto della città dove al momento (purtroppo solo al momento) abito, cioè Parigi. La quale era un tempo, in alcuni suoi quartieri, un villaggetto di piccole case in mattoni, coi rampicanti e talvolta i pergolati, lastricata da pietre irregolari, poi soffocata dai palazzoni residenziali fine ’800 e dalle ancora più deprimenti torri di cemento del devastatore XX secolo. Per ritrovarne i brandelli sopravvissuti bisogna lasciare i viali ampi, aperti come ferite mai chiuse nel tessuto urbano allo scorrimento dei motori e del traffico, e cogliere con l’occhio l’inizio di piccole strade dalle basse case, con l’aria artigianale di ciò che non è fatto in serie. Aggirando qualche brutta costruzione moderna può capitare di finire in una antica strada di artigiani e ristoranti, dove l’aria è subito del passato, un misto di vivacità e di modestia di condizioni, oggi negate dai grandi palazzoni. A me luoghi del genere fanno subito sentire meglio: comincio a respirare più distesa, mentre il cemento mi dà immediatamente un senso di oppressione. Invece camminare per questa stradina fa pensare che arrivino delle belle sorprese. Come una bottega tutta foderata in legno, con le pareti bianche. E in vetrina un favo. Sì, proprio un favo vero, tutto grondante di miele dalle sue cellette. Vicino un raschietto. Per tagliarne una fetta e portarsela via. In cui affondare le dita mentre le cellette cedono sotto la pressione, e rimane sul dito l’oro trasparente, fluido e profumato da assaporare immediatamente, con la sua aria di fresco e quell’aroma che perde il miele in  vaso. Se poi si entra in questo piccolo scrigno si scoprono cose mitologiche, come l’idromele delle saghe nordiche, quel misterioso liquore che fa sognare tutti i bambini nell’immaginarne il sapore. A lungo ci ho sognato sopra, ora so almeno che è trasparente come acqua. Che sia la bevanda degli Ent? Bisogna che lo assaggi, la prossima volta. Alle mie spalle tutti i mieli del mondo. Non esagero: ci sono mieli di essenze che vengono da tutta la terra o quasi, di agrumi, di fiori selvatici, di piante da frutto, di erbe profumate. Ci sono tanti bastoncini per assaggiarli finché se ne ha voglia. Io ho provato un miele di una qualità di felci che era amarognolo in fondo, ma meno duro del miele di castagno. Una vera sfida per un cuoco. Poi splendidi cilindri di vetro pieni di luce per tirare l’oro su dai barattoli, libretti di bellissima carta che insegnano tutto sul miele, una botticella di aceto al miele da cui servirsi alla spina, macchinari per separare il miele dalla cera, per centrifugarlo, per mettersi su un alveare. Candele dolcissime di cera naturale, profumate. Pare che a Parigi ci siano non si sa quanti alveari e tantissime api. Un fantastico gnomo con la barba bianca, discretissimo in fondo al negozio e presente insieme come sanno essere qui, faceva da guida alle sue piccole meraviglie. Come stupirsi che questa piccola bottega fosse finita nella guida « Les introuvables » di Parigi?  Poco più in là e molti ristoranti in mezzo, una seconda bottega curiosa:  l'Oisivethé, Thé-ricoter. Sala da the e insieme negozio di lana per lavorar a maglia (tricoter). Ora io che sono freddolosissima ero estasiata all’idea di poter mangiare qualcosa in mezzo ai gomitoli! La saletta è piccola e fatta apposta per piacere alle donne che amano starsene un po’tranquille : matasse piene di colori appese alla pareti, unite, mélange, fini, spesse, in merino, lana inglese, lana e seta; thé profumati alle erbe, ai fiori, ai frutti, affumicati. Voglia di aprire subito il coperchio della teiera calda per annusare il fumo che ne esce come una sorpresa. Assaporare un boccone e chiedersi se ci piacerebbe di più sentire il nostro viso sprofondare in una lana rossa oppure di un gioioso color corallo. Vedere signore che scelgono una matassa, sfogliano libri di lavori a mano, la soppesano, la riposano, ne prendono un’altra, e così via. Senza mettersi fretta. Augurarsi di saper fare un maglione e sapere che non ci riusciremmo proprio. Eppure quel mélange sui toni del blu notte, tra il violetto, il nero e il blu che stranamente dà luce al viso e che non avremmo mai saputo immaginare, non è invitante?
Si riparte, per arrivare a un curioso basso edificio in mattoni con le finestre contornate di pietra bianca, al di là della piazzetta con i suoi arbusti e vialetti curati. E’ una piscina pubblica, come a Parigi ce ne sono in tanti quartieri. Questa però è alimentata da un pozzo artesiano. Pura acqua dei bassofondi parigini. Alla fine dell’800 la città aveva cominciato a espandersi sin qui, e rifornirsi tutti di acqua potabile era un problema. Qualcuno aveva lanciato l’idea che scavare un pozzo sarebbe stato facilissimo. L’acqua però giocava a rimpiattino e si lasciò trovare solo a 286 m sottoterra, dopo decenni di scavi interrotti e ripresi. A quel punto il problema era stato risolto altrimenti, e il pozzo sgorgava inutilmente. Finché fu deciso di costruire una piscina cittadina e di usarla anche per scopi medici. Fu qui che venne messo a punto il nuoto come disciplina correttiva.
Acqua e acqua unite: quella pioggerellina incostante del nord decide di mettersi a cadere proprio adesso, pervicacemente, per circa cinque minuti. Giusto il tempo di schizzarsi. Gelo, umido, freddo, nuvole. Il tempo di arrivare alla prossima piazza, di scansare l’orripilante, gigantesco centro commerciale su un lato, di guardare più in là. Un quarto di arcobaleno variopinto scavalca il viale, felice dei suoi colori. E pure gli spettatori a naso in su, mentre tra le nuvole che non mancano mai si apre la sua strada l’azzurro.     

Cara Vivian, o meglio, cara tu che sei dietro a Vivian, lo so che ti scrivo da così lontano da non riuscire nemmeno a farmi sentire. Non importa: ricordiamoci che il mondo è sempre pieno di sorprese, e noi, malgrado tutto, di desideri.