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Toulouse en érasmienne

domenica 15 febbraio 2015

Je suis Charlie - E no!

Che si parli di gesti isolati per tre persone che vanno alla morte sparando come furie su chi disegna o fa la spesa, passi. Ma davvero erano disposti al suicidio? O pensavano che qualcuno li avrebbe aiutati in questa cavale? E se invece sapevano di andare incontro alla morte, cosa li ha convinti a ritenere un'impresa suicida preferibile alla vita in un paese ben diverso dal Medio Oriente, di cui erano cittadini certo non favoriti, ma comunque di pieno diritto?
Questo avrei amato capire dagli attentatori di gennaio a Parigi, per questo rimpiango che non ci sia stato modo di farlo. Per un motivo molto semplice: se vuoi lottare contro qualcosa, la devi conoscere. Devi capire perché nasce. Vale per Ebola come per chi spara. Più ti chiudi gli occhi e rispari alla cieca, più sarà facile che altri rinascano a sparare contro di te.

Quando poi in Belgio una settimana dopo altre due persone vengono uccise dalla polizia perché avrebbero preparato un attentato, senza contare la mia inesistente approvazione per l'esecuzione preventiva, c'è da cominciare a dubitare del preteso gesto isolato. Si può pensare all'emulazione, d'accordo.

Quando per la terza volta - o seconda, perché nell'affaire belga l'attentato non c'è stato - si decide e soprattutto si riesce a sparare su un centro culturale che aveva osato parlare di libertà di espressione, di una redazione massacrata e di vignettisti costretti a vivere sotto scorta sul lavoro come a casa, e ci si aggiunge in un secondo tempo l'attacco a un luogo di culto divenuto bersaglio a causa di ciò che fanno da mezzo secolo i governanti di uno stato con cui quel culto viene identificato, questo diventa uno schema troppo sovrapponibile agli attentati di Parigi. Il tutto comincia a apparire meno isolato e meno spontaneo. Davvero i disperati non hanno altro di meglio che sdegnarsi fino a mettere su questo ambardam per un disegno di una rivista che verosimilmente non hanno letto? Davvero credono che il problema delle loro vite venga da lì? Così come diviene meno spontaneo l'esito di questa vicenda: l'esecuzione sommaria del presunto attentatore.
 
Aldilà di ogni considerazione sul giusto processo, non riesco a non chiedermi, sul piano brutalmente pratico: perché queste persone non vengono catturate e fatte parlare? Possibile che si ritenga ininfluente farlo?
Mi dò due spiegazioni, ma le trovo entrambe legate a una visione di corto respiro. Una tattica perdente.
1) La prima ipotesi è che si tratti di impartire una lezione: se ci provate, sappiate che ci lasciate la pelle. Senza tante storie.
2) La seconda che si cerchi di circoscrivere la reazione collettiva e sociale. Un processo comporterebbe una esposizione pubblica molto lunga di una vicenda che in Francia si è voluto purificare attraverso i riti collettivi dell'espiazione in mezza settimana. Il mercoledì il trauma, il venerdì l'esecuzione e la sfilata dell'emozione nazionale la domenica (il tutto ancestralmente cattolico, se ci si pensa). Da un processo potrebbero nascere proteste, disordini, eventualmente altri attentati, fuoriuscendo da quelle polveriere consapevolmente create che sono le cité dell'esclusione, della povertà, della disoccupazione, del traffico di stupefacenti. In un mondo i cui governanti hanno scelto, da 40 anni, la via della redistribuzione ai ricchi delle poche briciole finora sottratte ai profitti per essere redistribuite ai poveri, cioè a chi non possiede mezzi per speculare e investire. In un mondo in cui l'immigrazione che preme e crea innegabili squilibri sociali (ad esempio manodopera in nero disponibile a basso prezzo calmiera tragicamente il mercato dei lavori dequalificati o pericolosi), viene affrontata non affermando un terreno comune di valori, laici,  ma giustapponendo comunità che restano ciascuna per sé senza realmente unirsi. Soprattutto nel modello anglosassone, che infatti censura le copertine di Charlie Hebdo perché rappresentano un Maometto...
Questa è un'enorme polveriera, oggi non più canalizzata da movimenti e partiti di lotta di classe (perché questo è, anche se la parola oggi fa storcere il naso) organizzati in senso laico e rifuggenti dall'attentato come strumento politico. Al loro posto si è preferito lasciar crescere una rete organizzativa e un collettore del disagio di pretto stampo religioso, altamente pericolosi quando compattano povertà ed esclusione verso l'identificazione del male nella società e cultura occidentale, oggetto del desiderio e della delusione insieme, come se essa fosse compatta e non percorsa da opposte teorie, ceti e culture. Dall'Asia all'Africa all'Europa, nel laboratorio degli apprendisti stregoni...
Un processo potrebbe attizzare delle fiamme "costose" da governare, in una società, come la Francia,  dove popolazioni di origine extraeuropea e non, vivono più fianco a fianco che altrove.
 3)La terza ipotesi è che vi siano questioni internazionali in gioco. Come il mondo occidentale si è divertito a mettere fuoco alle polveri dall'Himalaya all'Atlante, adesso qualcuno ha deciso di farsi ascoltare in questo modo. Ma proprio non si può ammetterlo.

Disinnescare invece le cause degli attentati, come sarebbe logico pianificare, - disoccupazione, ignoranza, miseria, esclusione - potrebbe costare più servizi pubblici, ad esempio una scuola migliore e non semplificata nelle zone a rischio, una redistribuzione delle risorse e diverse condizioni di produzione, cioè del lavoro, in termini di salari migliori, di minore precarietà, di industria pubblica, i cui costi le classi dominanti non vogliono pagare. Né mai l'han voluto, tranne quando vi sono state obbligate. Come nel dopoguerra. Con regolamenti, leggi, lacci e lacciuoli. Oh, sì. Benedetti siano.
W il bondage in aeternum.

In mezzo a tutto questo, quelle che vengono chiamate le libertà borghesi. Quelle nate dalla rivoluzione francese e germinate dalle guerre di religione, quelle ribadite dalle socialdemocrazie. Quelle che, finché non costano troppo denaro, possono ancora essere mantenute nei nostri stati in piena deriva liberista.
Quelle la cui fragilità si mostra oggi ogni giorno.
Quelle su cui si riversa l'ostilità di ogni oscurantismo religioso, da sempre.

Quelle di cui a nessun potente importa realmente. Perché i potenti hanno da sempre e per sempre fatto tutto ciò che hanno voluto. Basta leggersi qualcosa sulle antiche aristocrazie per saperlo. La loro morale, la loro vita, le loro regole erano totalmente diverse da quelle da loro imposte a chi non era nobile.
Letture, vita privata, relazioni con gli altri, uso del denaro, della violenza, delle persone. Ogni cosa era misurata sul metro che loro stessi si costruivano. Altro che merletti e ricevimenti col baciamano! La sola cosa ferrea era la solidarietà con il proprio ceto.

In mezzo a tutto questo, persone costrette a essere identificate in una religione. Sempre e comunque. Perché i cittadini francesi o gli immigrati di origine araba dovrebbero essere considerati musulmani tout court? Perché dovrebbero essere definiti in base alla religione più di quanto non si faccia con cittadini di origine europea? Se penso a un francese non mi viene da definirlo "cristiano". Non mi pongo proprio la questione. Perché bisogna invece respingere le persone di origine araba in questa sola definizione? A Charlie Hebdo lavorava un correttore di bozze kabilo. Persona coltissima, emigrato clandestinamente in un paese che adorava, di cui aveva imparato la lingua al punto da poter correggere ai francesi dell'esagono ortografia e sintassi. In base a cosa dichiararlo "musulmano"? Facendo diventare segno pubblico un fatto privato? E' abbastanza certo che i suoi compagni di lavoro non lo avrebbero definito così.
Una persona che conosco e stimo particolarmente ha un lavoro non irrilevante nel settore pubblico ed è estremamente credente. Si definisce "europea". Si defnisce in base al proprio lavoro. Si definisce in base alla sua religione soltanto in ultimo, facendolo precedere dalla parola "laica". Si tratta ripeto, di una persona realmente credente e praticante. Non di quelli all'italiana che si svegliano solo quando c'è da sposarsi (dopo decenni di convivenza e dozzine di relazioni, per tacere del resto) perché "in fondo in fondo sono credente, sai? però a modo mio, eh" e "in Chiesa è più bello" ma bravi! salvo poi sbuffare perché c'è da seguire il corso prematrimoniale, o quando c'è da far fare la prima comunione ai figli "perché non devono sentirsi diversi": ma bravi due volte!!
 
Il ceto intellettuale oggi si trova intrappolato in questo spazio di manovra sempre più esiguo. Da un lato con problemi forti di sopravvivenza materiale, dall'altro con libertà di manovra e di espressione sempre più compresse. Anche a suon di pallottole. Perché appunto, l'irrompere della brutalità e della violenza economica liberista si sposa con il via libera allo sfogo delle tensioni sociali nell'oscurantismo. Con il rifugio in valori anzitutto irrazionali e non governabili dall'essere umano, come la fede, la grazia, la predilezione divina che darebbe una superiore autorità  a chi se ne ritiene portatore. Gott mit uns stava scritto sui cinturoni delle SS...
Entrambi vedono nelle libertà il nemico. Entrambi sono favorevoli e funzionali alla medesima struttura economica, al dominio dei pochi sugli esseri umani.
Tutto sommato, l'identificazione del nemico con chi pensa e chi disegna, fa comodo ad entrambi.

In mezzo a tutto questo, la coscienza comune, che spesso dice: "D'accordo, tu disegni, a me non piace. Fine della storia." Oppure "Faccio un altro disegno in risposta." Cosa che farebbe la delizia di Charlie Hebdo, sono sicura. Sarebbero capaci di pubblicargli le vignette loro, se fossero ben fatte, per quanto sanguinose fossero. Fin quando reggerà questa coscienza? Per ora è stata quella che in Francia ha prevalso (ma non in Inghilterra, dove appunto la copertina di Charlie è stata censurata). Aggiungiamoci le intimidazioni in Danimarca. Lo spazio pubblico e laico sta cendendo all'imposizione del discorso lecito o illecito da parte dell'oscurantismo religioso armato più in fretta di quanto non si pensi. Quanto ci metteremo a pensarla tutti come i giornali inglesi?

Ecco perché non sopporto i maisti della solidarietà quando si tratta di libertà di opinione, di espressione, di laicità. Perché in quello che pare loro un acuto e superiore sottilizzare, spalancano le porte alle peggiori alleanze dell'oppressione. 

Qui c'è un interessantissimo articolo di uno scrittore danese sulla riflessione in atto rispetto agli attentati.

1 commento:

  1. Alla fine l'ispirazione è arrivata in versi...

    PS: grazie per le tue riflessioni.

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