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lunedì 12 settembre 2011

Perché "non ci sono i soldi" - e per cosa invece ci sono

Le lodi al privato imprenditore, se così vogliamo chiamarlo, mi hanno sempre fatto, in fondo, tenerezza. Il rischio d'impresa, il coraggio di investire del proprio, di non aspettare lo stipendiosicuroafine mese e tutta quella roba lì, l'omogeneizzato per adulti consenzienti dei nostri tempi. Perché, tranne forse minuscole situazioni di artigianato, non c'è attività privata che in Italia non dipenda dai soldi pubblici e non ne prenda, di fatto vivendo alle nostre spalle senza cessare di farci la morale. E per realizzare, soprattutto, cose che non servono, non ci servono, mentre molto spesso rendono le città e ahimè anche le campagne un delirio urbanistico totalmente privo di strategia. Tanto chi può si ripara in villa o superattico e a combattere con un paesaggio alienato e degradato restiamo noi, che non abbiamo scelta, che sogniamo un ambiente sereno, ben tenuto e perchè no, bello, ritrovandoci a vivere tra svincoli, palazzoni, sottopassi, viadotti, cemento, vetro e pavimentazioni squallide di finto ghiaino made in China o dove che sia, piene di bruttezza, fomentatrici di violenza e desolazione. Che ci ritroviamo a sentirci dire che i nostri stipendi e le nostre pensioni non sarebbero un diritto costituzionale (finché rimane), e direi anche semplicemente u m a n o (la nostra Costituzione segue molto da vicino la Carta dei diritti umani) ma un privilegio che crea problemi al presente e al futuro.

Il nostro settore non fa peraltro eccezione: i privati vivono di commesse pubbliche, e fanno profitti su un ribasso forzato del costo del lavoro con l'assenza delle minime tutele decenti, anche se le somme in gioco non sono certo paragonabili.

Questo articolo è apparso sul Manifesto del 12 settembre 2011. Lo trovo molto interessante perché mostra dove vadano in realtà i soldi pubblici: nelle tasche private, non per pagare gli stipendi, ma per realizzare profitti grazie a lavori inventati ad hoc, privi di qualsiasi utilità comune.

Paolo Berdini

Le cinque grandi ruberie al tesoretto italiano

La manovra economica approvata dal Senato non taglia gli sperperi della spesa pubblica. All'ultimo istante sono state risparmiate anche le prebende della casta parlamentare e nonostante quanto emerge dall'inchiesta sul sistema Sesto San Giovanni - e cioè il gigantesco intreccio tra l'uso della spesa pubblica e dell'urbanistica contrattata per fare cassa a favore delle lobby politico imprenditoriali - né la maggioranza né l'opposizione hanno posto all'ordine del giorno il prosciugamento del fiume di denaro pubblico che sfugge ad ogni controllo democratico. Il "sistema Penati" sta lì a dimostrare che esiste una gigantesca cassaforte piena di risorse che non viene neppure sfiorata dai provvedimenti economici in discussione in Parlamento: lì c'è un grande tesoro che permetterebbe di non tagliare lo stato sociale e risanare il paese.


Il tema del taglio al malgoverno urbano tornerà sicuramente all'ordine del giorno perché tra qualche mese ricomincerà la grancassa del «non ci sono i soldi» e - complici le autorità europee - ripartirà la rincorsa per tagliare i servizi, tagliare le pensioni, vendere le proprietà pubbliche. Vale dunque la pena riprendere il prezioso suggerimento di Piero Bevilacqua su queste pagine (28 agosto), ragionare sulle possibilità di rovesciare i canoni del ragionamento fin qui egemone per interrompere una volta per tutte la grande rapina dei beni comuni, delle città e del territorio.

Il denaro pubblico viene intercettato dalle lobby politico-imprenditoriali attraverso sei grandi modalità. La prima riguarda le opere pubbliche. Il volume degli investimenti pubblici nei grandi appalti è pari a circa 20 miliardi di euro ogni anno. Appena pochi mesi fa un giovane "imprenditore" (Anemone) con il fiume di soldi guadagnato in generosi appalti offerti dalla cricca Bertolaso ha potuto permettersi di contribuire all'acquisto di una casa per l'ignaro ministro Scajola: quasi un milione di euro. Ad essere prudenti una percentuale intorno al 20% ingrassa le tasche della politica corrotta e delle lobby: 4 miliardi ogni anno. Qualche tempo fa ci hanno ubriacato con l'esempio virtuoso dell'unificazione degli acquisti delle siringhe per il sistema sanitario nazionale perché ogni regione spendeva somme differenti. Tanto rigore per pochi spiccioli, mentre non sappiamo controllare quanto costa costruire una scuola o una strada.

Un secondo capitolo strettamente connesso al precedente è che molte opere pubbliche non servono alla collettività, ma vengono decise da sindaci che si sentono abilitati a compiere qualsiasi nefandezza perché «eletti dal popolo». Come a Parma, dove una falange di amministratori ha sperperato miliardi di euro in grandi e inutili opere. Ora il comune è sull'orlo della bancarotta (seicento milioni) e il sindaco è ancora lì, barricato nel palazzo. O come nel caso della faraonica piscina voluta dall'ex sindaco di Roma Veltroni a Tor Vergata: occorrerà spendere un miliardo di euro per farla funzionare. O, come emerge dall'inchiesta di Sesto San Giovanni, appalti inventati appositamente per rimpolpare i bilanci delle aziende pagatrici di tangenti (la milionaria illuminazione della tangenziale, ad esempio), o attraverso l'affidamento a prezzi protetti di servizi pubblici, come il trasporto urbano. Anche in questo caso una stima prudente ci porta a dire che possono essere risparmiati almeno 4 miliardi ogni anno.

Ci sono poi le poste maggiori: quelle che intercettano la spesa pubblica corrente. Per la sanità pubblica si spendono oltre duecento miliardi di euro all'anno e ci si è dimenticati troppo in fretta lo scandalo della sanità della Puglia, quelli ricorrenti di Milano e della Lombardia, quello del Lazio di Storace, della Liguria, dell'Abruzzo. Episodi che derivano dall'uso spregiudicato del taglio delle prestazioni pubbliche e il loro affidamento - a prezzi senza controlli - agli amici di turno. Riportando a sistema la spesa sanitaria c'è spazio per risparmiare decine e decine di miliardi di euro.

C'è poi il capitolo della "privatizzazione" della pubblica amministrazione che sta distruggendo lo Stato e - contemporaneamente - ci costa un fiume di soldi. Il fedele collaboratore di Giulio Tremonti, Marco Milanese, arrotondava il suo non modesto stipendio da parlamentare con consulenze milionarie a carico di istituzioni pubbliche. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che una giovane di 33 anni, di indubbie attitudini artistiche, era stata nominata consulente della Finmeccanica a spese nostre. Del resto, anche quel campione di moralità di Valter Lavitola è consulente della Finmeccanica. Si potrebbe poi continuare nel calcolare quanto costa alle casse pubbliche la grande abbuffata operata dalla giunta comunale guidata da Gianni Alemanno nel moltiplicare posti di lavoro (centinaia di persone!) nelle municipalizzate romane.

E proprio nell'erogazione dei pubblici servizi si sperpera un altro fiume di risorse economiche attraverso un impressionante numero di società di scopo. La cultura neoliberista è riuscita a far passare i concetti di "efficienza" e in nome di questo totem ad esempio a Parma sono state create 34 (trentaquattro) società partecipate per gestire l'ordinarietà. Anche nell'area bolognese e in molte altre città i servizi pubblici sono gestiti da un numero imponente di società. Presidenze, consigli di amministrazione, consulenti d'oro che riportano docilmente i soldi ai generosi decisori. E invece di disboscare questa foresta di ruberie hanno provato a tagliare la democrazia sciogliendo i piccoli comuni!

Con queste prime cinque voci si arriva a oltre 40 miliardi di euro: l'ammontare dell'attuale finanziaria. C'è poi l'ultimo capitolo che riguarda la madre di tutti gli imbrogli, l'urbanistica contrattata. Essa è diventata l'unica modalità con cui si trasformano la città. Le regole generali sono state cancellate e di volta in volta si decide sulla base delle convenienze. Sull'area Falk servono più cubature? Nessun problema. Un accordo di programma non si nega a nessuno: il sindaco passerà all'incasso di una parte delle gigantesche plusvalenze speculative prodotte e ci farà campagna elettorale. Sulle aree dell'Idroscalo deve essere costruita una mostruosa città commerciale? Ecco pronto un altro accordo di programma completo del ringraziamento economico spesso veicolato da progettisti compiacenti. Questa patologia vale ormai per tutti i comuni, grandi o piccoli che siano.


Il quadro che abbiamo delineato sembra non presentare apparentemente differenze rispetto al recente passato. Ruberie e scellerati sperperi di denaro pubblico ci sono sempre stati: c'è Tangentopoli a dimostrarcelo. Ma il fatto nuovo è che la legislazione liberista affermatasi nel ventennio ha reso il meccanismo perfetto. Non ci sono infrazioni alle leggi perché sono le stesse norme approvate in questi anni a consentire ogni tipo di arbitrio.
Altro che tagli e vendita del patrimonio di tutti, dunque. Basterebbe ripristinare la legalità e risparmiare quanto gettiamo nelle voraci fauci dei poteri forti.

E' venuto il momento di dire basta, altrimenti ci vendono l'intero paese, democrazia compresa. E' questa la sfida che la nuova sinistra ha davanti. Una sfida per delineare un futuro diverso. Per risanare lo Stato, per far vincere le competenze sulla palude di mediocrità che sta soffocando il paese. Per dare una prospettiva ai giovani e al mondo del lavoro.


Come al solito glli articoli del Manifesto non sono condivisibili su Blogger e non sono linkabili eprché dopo una settimana il link non è più attivo. Per questo lo riproduco qui.

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